Papa Francesco, il cardinale Ravasi: «Il Pontefice sa comunicare anche se non può parlare»

«Bergoglio è un simbolo, e il suo "silenzio eloquente" può valere come dieci discorsi verbosi. E poi ci sono i messaggi visivi, come quel pollice alzato dalla finestra»

mercoledì 26 marzo 2025 di Franca Giansoldati
Papa Francesco, il cardinale Ravasi: «Il Pontefice sa comunicare anche se non può parlare»

I limiti fisici di Papa Francesco veicolano, oggi più che mai, un messaggio potentissimo. «Prendiamo per esempio gli atleti paralimpici, di cui sono un grande sostenitore, con le loro disabilità esprimono carattere, animo e forza di volontà. Il motto di questi atleti straordinari è 'spirit in motion', spirito in movimento. Il Pontefice già da quando è stato costretto alla carrozzina non ha avuto timore a esporre, mostrare i suoi limiti svolgendo il suo ministero con questo bagaglio: ha incontrato persone, ha predicato, non si è mai fermato. In questo momento certamente fatica a parlare eppure sono sicuro che trasmetterà messaggi persino con il suo silenzio». L'accostamento degli atleti paralimpici all'attuale fase del pontificato al cardinale Gianfranco Ravasi è venuto spontaneo, avendo lavorato tanto con loro al Cortile dei Gentili. Ne parla mentre sta finendo una conferenza internazionale sulle catacombe cristiane di Roma.

Come farà a comunicare Francesco se in questa fase non riesce quasi più a parlare?

«La comunicazione non è fatta solo di suoni. Non è solo verbale. Uno sguardo negli occhi può raccontare tantissimo. E poi c'è il silenzio che non sempre riceve la giusta collocazione sebbene faccia parte, a tutti gli effetti, della comunicazione. Esiste il silenzio eloquente che può valere dieci verbosi discorsi per esempio. E poi vi è la comunicazione del corpo».

Per esempio il pollice alzato di domenica sul balconcino del Gemelli prima di tornare a Santa Marta?

«Esattamente. E poi ci sono i messaggi visivi negli stessi limiti della persona. È possibile realizzare grandi cose nonostante forti impedimenti personali».

Scusi se insisto, ma tra poco è Pasqua e poi c'è il Giubileo in corso, la prossima canonizzazione di Carlo Acutis...

«Penso che bisognerà vedere come la sua presenza si potrà sviluppare anche attraverso i condizionamenti di carattere fisico, francamente però non vedo grossi problemi. Purtroppo vi è spesso la tentazione a filtrare la realtà attraverso il funzionalismo, l'ansia da prestazione che viene portata all'estremo dalla cultura dominante traducendosi, se uno è limitato, a non fargli fare più niente, ad essere messo da parte».

Fa riferimento alla cultura dello scarto tanto denunciata da Francesco in questi dodici anni?

«È una deriva culturale fortissima».

Che fare?

«Nella Chiesa si devono sviluppare due elementi: la parola da una parte e dall'altra la “normalità” pastorale. Esiste però un modulo per testimoniare anche in condizioni particolari. Ricordo un sacerdote amico che nonostante la grave malattia che lo aveva colpito – non poteva fare quasi più nulla - trasmetteva alla sua piccola comunità la grande potenza della fede. Si affidava a Dio e proprio questa forza veniva recepita immediatamente. È stato un gran bell'esempio. Il silenzio, dunque, non è mai un limite. E poi non va dimenticato che la figura del Papa è anche un simbolo».

Quindi Francesco si farà sentire con i messaggi scritti come già del resto in questo periodo sta facendo...

«Guardi che non conta il numero di parole. Prendiamo la forza della poesia. Ci sono spazi bianchi che allargano il significato, evocano, fanno affiorare concetti, si intrecciano con la memoria e sono immediati da recepire».

Quale è il personaggio biblico che maggiormente incarna il “silenzio” come immagine metaforica?

«Beh io direi che forse, la figura più fondamentale, è Cristo. Se entriamo all'interno di tutta la Passione vediamo che parla pochissimo. Una delle rare frasi pronunciate è rivolta a Giuda. “Amico per questo sei qui”. In greco sono solo due le parole dietro le quali si squarcia un destino, un mondo, una visione. In quel passaggio brevissimo c'è tutto il tradimento con le sue conseguenze. Oppure anche un altro passo del Vangelo quando Gesù è sulla croce. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. In questa breve locuzione è circoscritto il silenzio di Dio».

Come potrebbe ora gestire dal punto di vista organizzativo il Giubileo, la Pasqua?

«Non sarebbe la prima esperienza del genere perché Giovanni Paolo II ha esercitato il ministero con tanti limiti. Ricordiamoci di quando andò alla finestra per dare la benedizione e voleva dire qualcosa alla folla ma non vi riusciva per via del Parkinson. Furono i suoi gesti a parlare per lui. Francesco ora è in convalescenza e saranno i medici a suggerirgli quando potrà riprendere un ritmo di normalità senza affaticarsi. Benché già da adesso egli può fare tantissimo».

In attesa che le terapie alle quali si sottopone a Santa Marta facciano effetto non c'è anche l'elemento simbolico nella figura del Papa a trasmettere unità?

«Certamente! Noi siamo abituati a un simbolo di unità benché vi sia anche un simbolo di contraddizione: si può essere critici e pure questo aspetto fa parte della forza simbolica a stimolare reazioni».

 

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