La Consulta fa saltare il tetto da 240mila euro per gli stipendi della Pubblica amministrazione. Non va bene una soglia fissa che, in più, aveva tagliato gli emolumenti di alcune categorie, su tutte i magistrati. Il nuovo parametro torna quindi a essere quello in vigore prima della riforma del 2014 voluta dal governo di Matteo Renzi. Il nuovo-vecchio riferimento è il trattamento omnicomprensivo che spetta al primo presidente della Corte di Cassazione, così come previsto dal governo Monti nel 2011 con il decreto Salva Italia e come poi stabilito da una circolare, sempre del 2014, che aveva fissato la cifra per la carica più alta della magistratura a poco più di 311mila euro.
LA SOGLIA
Questa soglia resterà in vigore finché il governo non interverrà con un nuovo adeguamento. La ricalibratura arriverà nei prossimi mesi. I calcoli sono in corso. «Bisognerà studiare tutto», spiegano fonti del governo, precisando che sarà un Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri a regolare tutto. Dell’idea di superare il tetto aveva comunque già parlato in passato il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo. «È un ragionamento che prima o poi andrà fatto», spiegava lo scorso settembre, «l’obiettivo è quello di reclutare i migliori». Le posizioni apicali, aveva sottolineato, «comportano grandi responsabilità e, per ricoprirle, servono competenze specialistiche e capacità manageriali». La bussola devono quindi essere i criteri del merito e dell’impegno. Tentativi ce ne erano già stati in passato. Nel 2021 il governo Draghi fu costretto alla terza lettura di uno dei vari decreti Aiuti perché, con un emendamento poi disconosciuto da tutti, il limite agli emolumenti era stato rimosso.
LE RAGIONI
Secondo la Consulta, trascorsi 11 anni, il limite fisso non può più essere considerato legittimo. Poteva esserlo quando fu introdotto e negli anni subito successivi, in un contesto di uscita dalla doppia crisi finanziaria e dei debiti sovrani, con i conti pubblici da mettere in sicurezza. Per questo, trascorsi appena tre anni dalla sua introduzione, la Corte lo aveva considerato in linea con la Costituzione. All’epoca in cui fu introdotto poteva quindi ancora essere giustificabile. Due lustri dopo, non può più esserlo. La Consulta cita anche una pronuncia della Corte di giustizia Ue su analoghe riduzioni retributive per la magistratura. La deroga, scrivono citando la corte del Lussemburgo, deve essere «necessaria e strettamente proporzionata». Ciò «presuppone che essa rimanga eccezionale e temporanea». Alla lunga, invece, il persistere delle soglie ha messo a rischio anche il principio dell’indipendenza della magistratura. Non a caso il ricorso da cui parte tutto evidenzia potenziali ripercussioni nella partecipazione dei magistrati più anziani agli organismi di autogoverno. Tutto, infatti, parte dal caso di un giudice che chiedeva gli fosse riconosciuto il diritto al trattamento economico come componente effettivo del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, senza tagli all’indennità per evitare di sforare il tetto.
I DUBBI
La Corte Costituzionale ha anche dubbi sui benefici per i conti pubblici. Passati più di dieci anni, «i dati estraibili dall’andamento del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato non confortano le iniziali attese e aspirazioni del legislatore ottenute in applicazione della misura». Erano previsti 86 milioni, ma ha invece fruttato 4,5 milioni nel primo anno per arrivare a un massimo di 18,9 milioni negli anni successivi. La sentenza della Consulta nota anche alcuni passaggi del processo decisionale per stabilire la soglia. Prima è stato deciso di fissare l’asticella a 240mila euro, agganciandola alla carica di primo presidente della Corte di Cassazione, cui all’epoca spettavano 311mila euro. Soltanto in un secondo momento il governo «ha ridotto gli emolumenti percepibili dal titolare di tale carica, fissando un limite inferiore a quello precedente». Lo stop al tetto non sarà retroattivo. Nessuno avrà diritto a vedersi versato quanto non avuto finora. Le nuove regole si applicheranno solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale.
LE REAZIONI
«Quella soglia fissa era ormai anacronistica e penalizzante. Nata in una fase di emergenza, ha finito per svalutare competenze e responsabilità fondamentali per il buon funzionamento dell’apparato pubblico», ha commentato Roberto Caruso, presidente di Funzione Pubblica Cida. «È giunto il momento di costruire un sistema retributivo sostenibile, aggiornabile e trasparente, che tenga conto del valore e del merito della dirigenza».