Donald Trump sarebbe stato decisivo. Seppur a sua insaputa. A far riscoppiare la scintilla tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni sarebbe stato infatti il tycoon, con una serie di mosse sullo scacchiere internazionale che avrebbero finito per agevolare la premier. Ma riavvolgiamo indietro il nastro per unire i puntini e capire cosa c'è dietro l'iniziativa del presidente francese. Perché, come ha tenuto a rimarcare l'Eliseo in più occasioni, è stato Macron a cercare l'incontro con Meloni: «Giorgià, on se voit?», la richiesta scattata in una telefonata seguita alla call con cui il presidente statunitense ha aggiornato i leader europei della chiamata con Vladimir Putin.
Appena quattro giorni prima Meloni restava fuori, letteralmente esclusa, da un'altra call: a chiamare Trump da Tirana - a margine dei lavori del vertice della Comunità politica europea - i "volenterosi" Macron, Merz, Starmer, Tusk per parlare dei negoziati di Istanbul e del percorso verso un cessate il fuoco in Ucraina. Presente anche il presidente Volodymyr Zelensky. Ne scoppia un caso, con la diplomazia italiana che non manca di manifestare il proprio disappunto per l'esclusione della premier. Ne segue un botta e risposta a mezzo stampa che assomiglia a una zuffa tra cane e gatto.
Appena quarantottore dopo a Palazzo Chigi Meloni si intesta la regia dell'incontro tra Ursula von der Leyen e il vicepresidente Usa J.D. Vance. Obiettivo oliare i rapporti tra Ue e States, messi a dura prova con l'arrivo dei repubblicani alla Casa Bianca. E affrontare, soprattutto, il nodo dei dazi, che pende come una spada di Damocle sull'Europa. Alla vigilia dell'incontro, Meloni sente Trump. Tra i due una lunga chiacchierata in cui non viene menzionato - assicurano fonti italiane - l'incidente di Tirana. Ma questo Macron non può saperlo. O meglio: al netto delle ricostruzioni della stampa italiana, non può metterci la mano sul fuoco. Ad aggravare la situazione, la convinzione di Palazzo Chigi che dietro l'esclusione di Meloni dalla riunione dei big in Albania ci sia stata proprio la "manina" del presidente francese, benché dall'Eliseo, nei giorni scorsi, si sia sostenuto con enfasi il contrario: «Nessun ostracismo verso madame Meloni». Quelli che seguono l’incontro tra von der Leyen e Vance a Palazzo Chigi sono giorni intensissimi.
Trump sente Putin, dunque aggiorna i volenterosi sulle reali intenzioni dello zar. Macron trova in video Meloni, collegata alla Situation room della White House. È The Donald a volere la sua presenza, che, inoltre, non risparmia critiche al presidente francese, bacchettandolo sulle politiche migratorie. Collegata alla riunione anche Ursula von der Leyen, segno che l’opera di disgelo sull’asse Ue-Usa inizia a portare i suoi frutti. «E tutto si può dire di Macron - spiegano fonti autorevoli - tranne che non mastichi politica. Averla trovata lì, in uno snodo decisivo per il conflitto in Ucraina, ha ribaltato la sua azione di gioco». Segue dopo qualche giorno una nuova telefonata tra Meloni e Trump, con il presidente Usa deciso a imporre dazi del 50% all’Ue. La premier italiana sente Bruxelles e orchestra una chiamata tra il tycoon e Palazzo Berlaymont. L’aumento delle tariffe torna in stand-by.
ROMA ANCORATA ALL’UE
E poi c’è l’Italia, con Macron che tende la mano e Meloni pronta ad afferrarla, nonostante screzi e dissidi inanellati in questi due anni e mezzo di governo. È chiaro che Roma non può fare a meno di Parigi. Non solo per via di legami che non potrebbero mai essere recisi, suggellati anche dal trattato del Quirinale entrato in vigore nel 2023. Ma anche perché la premier sa benissimo che l’Europa resta a guida franco-tedesca e inimicarsi Parigi, al netto del rapporto solido con von der Leyen, vorrebbe dire isolare Roma in Ue. Un passo falso da evitare con cura. Tanto più che, al netto dei rapporti «privilegiati con Trump» (copyright Meloni), l’imprevidibilità del tycoon resta un’incognita con cui l’Europa, Roma inclusa, è chiamata a fare i conti. Anche sulla complessa partita dell’Ucraina, con il timore che gli States possano sganciarsi, abbandonando Kiev al suo destino. Per questo Macron e Meloni sono destinati a fare asse, lasciando prevalere la ragione sull’istinto, che troppo spesso li ha portati ad azzuffarsi.