Jacopo Lodde, lo psicologo: «Non risolviamo tutto ai figli, il fallimento serve per la crescita»

Lo psicologo: «Lasciate che i ragazzi imparino a gestire la frustrazione»

mercoledì 11 giugno 2025 di M.F.
Jacopo Lodde: «Non risolviamo tutto ai figli, il fallimento serve per la crescita»

TREVISO - «La visione dei genitori a volte è offuscata dall'amore per i figli.

Non si vuole vederli soffrire. Ma non va dimenticato che il fallimento, la gestione della frustrazione e l'accettazione dei limiti, ha un potere magico sulla crescita psico-affettiva delle persone. Oggi è indispensabile che si sviluppino competenze relazionali in contesti come la scuola e le associazioni sportive. Solo così sarà possibile gestire al meglio i processi ed eventuali difficoltà, senza rivolgersi a carabinieri o tribunali».

Jacopo Lodde, psicologo e psicoterapeuta, da anni impegnato nel mondo dello sport, parla in modo diretto. In questi giorni sono emersi in particolare di due casi. A Montebelluna un bambino di 10 anni si è sentito umiliato dall'allenatore della squadra di calcio. E un alunno all'ultimo anno di una scuola elementare paritaria del trevigiano ha ricevuto un giudizio a dir poco netto da parte della maestra in calce a un compito con vari errori ortografici: «Se la tua idea è di continuare così, per me puoi stare a casa». La prima famiglia è pronta ad andare in tribunale. E la seconda si è già rivolta ai carabinieri di Castelfranco per capire come muoversi. Lo psicologo non entra nel merito dei casi specifici. Ma traccia linee che non possono non essere prese in considerazione.

Dottor Lodde, sembra ci sia una incomunicabilità di fondo.

«Si deve partire dalla condivisione delle regole d'ingaggio tra la famiglia e l'agenzia educativa o sportiva alla quale si affidano i figli. Conoscendo bene i progetti».


Una buona partenza ridurrebbe i problemi?

«Sì. E su questo poi deve innestarsi la presenza di coordinatori formati e con competenze relazionali specifiche».


Il problema di fondo sta nelle famiglie?

«Se si arriva a dover andare in tribunale o dai carabinieri, c'è qualche problema. E su questo può incidere anche il coinvolgimento emotivo, che altera la realtà. Ma giungere a tanto per un ragazzo è devastante. Di più, oltre all'attribuzione di colpa, c'è un fallimento a 360 gradi tra la famiglia, l'agenzia e lo stesso ragazzo».


L'importante è capire se e quando un limite viene superato.

«Il bullismo e le vessazioni vanno sempre evidenziate. Ma bisogna stare attenti anche a fare in modo che i ragazzi possano farsi degli anticorpi, accettando eventuali propri limiti attraverso gli strumenti della tolleranza e dell'autoironia. Così è possibile gestire le difficoltà, saper chiedere aiuto e trovare solidarietà».


Com'è stata la sua esperienza da psicologo dello sport?

«Quest'anno ho collaborato con 10 scuole calcio certificate. La formazione e l'accompagnamento riducono le difficoltà. Tra l'altro, a fronte di qualche caso limite ci sono centinaia e centinaia di ragazzi e di famiglie inserite al meglio. E non bisogna mai dimenticare che la scuola e lo sport, in particolare, sono vere ancore di salvezza per i giovani, anche rispetto al fenomeno delle baby-gang».


Dopodiché si può sempre incontrare una persona con la quale proprio non ci si trova.

«Senza dubbio. Può essere un compagno ma anche una maestra, un allenatore, un vicino di casa e così via. Per questo è necessario imparare a gestire la frustrazione. È uno schema che poi nella vita si riproporrà sempre. Oggi la reazione emotiva conta molto. Ed è il caso di allenarla al meglio».

 

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