Pfas. Miteni, bocciato il ricorso di Mitsubishi sulla bonifica. Il Tar: «Chi inquina, paga»

Miteni, bocciato il ricorso sulla bonifica. I giudici: «Gravi omissioni verso gli enti impedirono di limitare i danni alla salute»

martedì 28 maggio 2024 di Angela Pederiva
Miteni

A cinque anni dalla diffida alla bonifica, il Tar del Veneto mette un punto sulla maxi-contaminazione da Pfas nelle province di Vicenza, Padova e Verona. In attesa che arrivi a sentenza il processo penale, il giudizio amministrativo di primo grado si è concluso con il verdetto pubblicato ieri: «Chi inquina, paga». Dunque anche Mitsubishi Corporation, come già International Chemical Investors (nonché in pendenza dei ricorsi di Eni e Marzotto, al netto di tutti i relativi appelli al Consiglio di Stato), dovrà farsi carico dei costi per i veleni disseminati attorno all'ex Miteni di Trissino.

I composti

Il colosso giapponese aveva presentato il ricorso contro Provincia di Vicenza, Comune di Trissino, Noe di Treviso, Iss, Ispra e Arpav, ma anche nei confronti di Regione, ministero dell'Ambiente, consorzio Arica, Viacqua, Acque del Chiampo, Medio Chiampo, così come fallita Miteni, International Chemical Investors e Eni Rewind. Proprio con Eni, attraverso una fusione per incorporazione della Rimar Chimica fondata dalla famiglia Marzotto, nel 1988 Mitsubishi aveva costituito la Miteni, detenendone nel corso del tempo fra il 49% e il 90% del capitale sociale, finché la ditta nel 2008 era stata ceduta alla Ici e nel 2018 era risultata decotta.

A travolgerla era stato lo scandalo delle sostanze perfluoroalchiliche, «particolarmente resistenti alle reazioni chimiche, al calore, all'abrasione o alla frizione», al punto da essere oggetto di «un massiccio impiego», come ricordano i giudici, «per fissare il rivestimento delle pentole antiaderenti, per fabbricare schiume antincendio, pitture e vernici, ovvero quale rivestimenti antipolvere per apparecchi elettronici, come i microfoni dei telefonini, e finanche nei cosmetici e in alcuni farmaci». Lo stesso Tribunale fa però presente che «si tratta di composti da tempo sotto l'attenzione della comunità scientifica internazionale, e delle autorità di protezione ambientale, in quanto sospettati di effetti dannosi sulla salute umana», tra cui «alti livelli di colesterolo ed acido urico nel sangue, nonché una possibile correlazione con taluni tipi di cancro al fegato, al rene, al testicolo e alla tiroide».

La responsabilità

Sulla base degli accertamenti effettuati, le istituzioni hanno ritenuto responsabili dell'inquinamento ai fini della bonifica le società che si sono avvicendate nel controllo dello stabilimento. Il gigante asiatico si è opposto attraverso dieci argomenti, tra i quali l'attribuzione alla fabbrica di «autonome scelte e strategie imprenditoriali», la mancanza di «limiti legali di concentrazione dei Pfoa, dei Pase dei Btf», la mancata considerazione del «contributo causale di altri soggetti presenti nel distretto industriale». Ma scorrendone le motivazioni decisamente lunghe e dettagliate, dal pronunciamento dei giudici emerge la «sussistenza di un'unità sostanziale dell'impresa» fra Mitsubishi e Miteni, con «condivisione delle medesime persone fisiche nelle cariche societarie». Viene poi duramente stigmatizzata la vendita dell'azienda di Trissino a Ici «per la somma simbolica di 1 euro, premurandosi di escludere la garanzia del venditore in merito ad eventuali criticità ambientali». Con questo gesto, Mitsubishi «ha tenuto un comportamento gravemente omissivo nei confronti degli Enti competenti, impedendo di fatto di avviare il procedimento di messa in sicurezza e/o di bonifica che la normativa applicabile riconduce sotto il controllo delle Autorità pubbliche, procedimento che con un ragionevole grado di certezza avrebbe permesso sin da allora di eliminare, o quantomeno di limitare efficacemente gli effetti pregiudizievoli dell'inquinamento in atto, incidenti sull'ambiente e sulla salute di migliaia di persone». 

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