Moby Prince, inchiesta flop. I 140 morti senza giustizia

I misteri da fugare: la bugia sulla nebbia in porto, le ragioni del salvataggio negato e la presenza in rada di un’altra nave sparita

mercoledì 26 febbraio 2025 di Valeria Di Corrado
WCENTER 0XNEBANCFJ Il traghetto Moby Prince reduce dall'incendio a seguito della collisione con la petroliera "Agip Abruzzo" il 10 aprile 1991.ANSA

Centoquaranta vite bruciate, in un traghetto che si era trasformato in una gabbia di fuoco, senza che nessuno inspiegabilmente intervenisse per ore in soccorso dei passeggeri e dell’equipaggio della Moby Prince. Tutti coloro che erano a bordo della motonave appena salpata la sera del 10 aprile 1991 dal porto di Livorno alla volta di Olbia, tranne un unico superstite (il giovane mozzo Alessio Bertrand), morirono agonizzanti per le ustioni e per le esalazioni di fumo e gas tossici prodotti dall’evaporazione del greggio fuoriuscito dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Fu di fatto una strage, anche se non può essere qualificata come tale dal punto di vista giudiziario. Dopo quasi 34 anni dalla più grave tragedia che abbia colpito la Marina mercantile italiana dal secondo dopoguerra, la procura distrettuale antimafia di Firenze ha chiesto al gip l’archiviazione dell’indagine. È quanto emerso ieri nell’audizione in Commissione parlamentare di inchiesta del procuratore capo di Firenze Filippo Spiezia e di quello di Livorno Maurizio Agnello.

LE AUDIZIONI
In particolare, come poi ha spiegato Spiezia, per l'ipotesi di reato di competenza della Dda, ovvero la strage con finalità eversiva, «non è stato trovato alcun concreto elemento di riscontro». «Il mio ufficio rimane aperto a qualsiasi ulteriore prospettiva che dovesse suggerire la Commissione all'esito dei suoi lavori - ha precisato il procuratore fiorentino, la cui audizione è stata secretata - Noi abbiamo condotto un procedimento a carico di ignoti, le indagini erano scadute, quindi non si poteva fare altro. Ma nulla impedisce, perché si tratta tra l'altro di reati imprescrivibili, che se dovessero emergere input diversi, potranno essere avviati ulteriori accertamenti». Agnello, dal canto suo, ha spiegato che la Procura livornese, di cui è il responsabile, non ha formulato le sue richieste al gip perché sta ancora «vagliando le conclusioni che la Guardia di finanza di Firenze ha rassegnato in un'informativa di oltre 1.400 pagine», che, pur ricostruendo «in maniera certosina gli avvenimenti», non «fornirebbe sufficienti certezze» sulla dinamica della collisione. «Tre commissioni parlamentari d'inchiesta hanno cercato di far luce su questa enorme disgrazia», ha aggiunto Agnello, insistendo sulla «presenza della nebbia» come possibile principale causa dell'incidente. «Abbiamo l'obbligo di individuare possibili prove di colpevolezza per reati dolosi e non colposi, perché in quest'ultimo caso sarebbero tutti ormai prescritti a 34 anni dai fatti». «Non è stata una scelta saggia quella di affidare, nel corso della prima inchiesta, le indagini alla Capitaneria di porto che era ovviamente coinvolta in quello che era accaduto nella rada del porto di Livorno», ha infine ammesso il procuratore.

Le sue parole hanno suscitato indignazione nei familiari delle vittime, soprattutto sulla presenza della nebbia, smentita da diversi testimoni. Alcuni parlamentari lo hanno richiamato «a ragionare sul cosiddetto dolo eventuale o sulla colpa cosciente» per perseguire reati non ancora prescritti. Il dem Matteo Mauri ha fatto notare ad Agnello «che le due precedenti commissioni parlamentari hanno smontato quelle sentenze che lei oggi vuole tenere in considerazione per la sua ricostruzione, quindi qualcosa in più penso che si potesse fare». Non è mai stato chiarito infatti il ruolo della misteriosa nave Theresa, menzionata in una traccia audio registrata alle 22,45 e poi sparita in tutta fretta dopo la collisione. Potrebbe trattarsi di un’imbarcazione americana, la Gallant II, non presente nei registri del porto di Livorno.

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