Hanno avuto un figlio mentre lui era in prigione, ma al papà è stato negato di essere presente al momento della nascita. È quanto accaduto a Helena, compagna di Luca Zindato, che sta scontando una pena fino al 2039 per una serie di rapine alla Dozza, carcere di Bologna.
Il racconto della donna
«Abbiamo concepito in carcere, alla Dozza, il nostro secondo figlio, durante un normale colloquio, approfittando del fatto che nessuno ci stesse sorvegliando» ha raccontato Helena all'Ansa, continuando: «Poi quando si è avvicinato il momento della nascita abbiamo fatto istanza al magistrato di sorveglianza per consentire al papà di essere presente, ma la richiesta è stata rigettata perché il carcere ha dichiarato che non potevamo avere colloqui intimi e quindi era impossibile che fosse figlio suo.
Sono stati poi raccontati i nove mesi: «Durante la gravidanza il mio compagno ha informato le autorità del carcere e anche l'educatrice che lo segue di quanto era avvenuto e nessuno ha mai detto nulla». Non solo: «Poi però è stata messa in dubbio la sua paternità e il magistrato ha deciso di non farlo venire alla nascita, avvenuta il 2 marzo, una cosa che non si nega nemmeno ai detenuti al 41 bis. Il rigetto, tra l'altro, ci è stato notificato dopo che mio figlio è venuto al mondo».
Il riconoscimento
Problemi sono sopraggiunti anche rispetto al riconoscimento del bambino. Secondo la madre, infatti: «il magistrato infatti ha respinto anche la richiesta di far venire il mio compagno in ospedale per vedere suo figlio e riconoscerlo, dicendo che poteva farlo in carcere entro dieci giorni dalla nascita», con la conferma ufficiale arrivata solamente il 12 marzo. Sul caso si è espressa anche l'avvocata Elena Fabbri, che segue la vicenda: «È poco dignitoso quanto è successo - ha detto la legale - parliamo di un evento straordinario, la nascita di un figlio. Inoltre i colloqui affettivi sono un diritto, non solo per il detenuto ma anche per i familiari».